Esiste una voce nella testa di ognuno di noi che, presto o tardi, si fa sentire. Arriva all’improvviso, disturba, e scompare una volta finito il suo infimo lavoro. Ci ricorda che siamo inetti, incompresi, poco amabili e che tutto andrà per il verso storto. Quando questa voce se ne va, ci scopriamo di nuovo al punto di partenza, non abbiamo saputo muoverci, né conquistare alcunché.
Questo rimbombare nella testa di giudizi autodiretti lo abbiamo sperimentato tutti. Nel corso della storia gli sono stati attribuiti diversi nomi: giudice, sabotatore, critico interiore o superego. Il suo persistere mina alla salute psichica di chi lo sperimenta, per questo è importante saper dominare questo dialogo interiore negativo.
Sigmund Freud definì questa voce “superego” e fece risalire la sua origine alla prima infanzia. In quel periodo infatti i bambini sarebbero in grado di introiettare la visione che i genitori hanno di loro. Il superego può parlare una lingua crudele e autopunitiva; l’individuo è così tanto impegnato nella lotta interiore che non ha molto da offrire al mondo esterno. Non resta altro che aspettare che anche gli altri ci vedano così come ci sentiamo, indegni di essere amati e inetti alla vita.
Altre teorie più scientifiche collegano questa voce negativa a una parte molto primitiva del nostro cervello. Il tronco cerebrale, l’amigdala e il sistema limbico sono infatti particolarmente coinvolti nelle risposte di attacco/fuga in caso di pericolo. Queste regioni dell’emisfero sono sensibili al pericolo e, costantemente attivi, ci tengono in allerta, avvisandoci dei pericoli. Secondo questo punto di vista, il dialogo interno negativo aveva, in origine, una funzione adattiva.
Le narrazioni negative possono avere uno scopo funzionale anche nell’infanzia. I bambini inseriti in contesti disfunzionali o abusanti tendono ad attribuire a sé stessi la colpa del poco amore che ricevono. Con questo atteggiamento si preservare la figura dei genitori. Sarebbe troppo, per un bambino, sopportare il peso della noncuranza, della crudeltà o dell’incompetenza dei suoi genitori, da cui lui stesso dipende. Questo tipo di comportamento, però, se mantenuto potrebbe essere l’origine di difficoltà future.
Terapia cognitivo-comportamentale
Nella terapia cognitivo-comportamentale si parla del dialogo interno negativo con il termine di: pensieri negativi automatici (ANT). Non sono altro che le nostre convinzione, le ipotesi disfunzionali che abbiamo di noi stessi e che compaiono senza il nostro diretto controllo. I pensieri negativi automatici potrebbero comparire sotto forma di generalizzazioni, che ci spingono a vedere il mondo e noi stessi sempre allo stesso modo. “Gli altri sono più bravi di me”, “il mondo è un posto giudicante”, “io non sono abbastanza”. Questo genere di pensieri è ricorrente, si fa sentire spesso nel corso delle giornate e non importa quello che otterremo o faremo, la voce distruttiva potrebbe non placarsi mai e rovinare tutto quello che di bello facciamo.
I pensieri negativi automatici non sono altro che convinzioni disfunzionali che abbiamo interiorizzato nel tempo e che ci limitano nella vita quotidiana, determinano il nostro modo di vedere il mondo e il nostro modo di parlare di noi e con noi.
Come far fronte al critico interiore
Esistono diversi modi per affrontare il dialogo interno negativo.
La terapia cognitivo comportamentale suggerisce di prendere le distanze dalle false notizie che la nostra voce interiore ci propone ogni giorno. Dopo averla ascoltata e compresa, bisogna che ci convinciamo di quanto sia logicamente falso e sbagliato quello che dice. È un esercizio quotidiano di consapevolezza per fronteggiare il critico interiore sfruttando la ragione per indebolire il suo messaggio. L’approccio CBT prevede dei compiti quotidiani che consentono di aumentare la consapevolezza riguardo ai nostri pensieri distorti e a ragionare su di essi, interrogandosi sulla loro origine.
Un altro modo per controllare i pensieri interni negativi è accettarli, abbiamo meno controllo sui nostri pensieri di quanto crediamo. Lo scopo è quello di lasciare andare questi giudizi negativi, restituendo alla voce distruttiva il posto che si merita: semplice chiacchiericcio nella testa. Si sposta così l’attenzione dal contenuto delle parole alla forma, ovvero quello che realmente questi giudizi sono: pure convinzioni e nient’altro. È importante prendere le distanze dai pensieri negativi auto-svalutanti e comprendere che non ci definiscono, noi non siamo i nostri pensieri negativi. In questo modo potremmo riuscire ad osservarli per quello che sono, in modo obiettivo.
Potremmo perfino considerare il giudice interiore come un amico, ascoltare quello che ha da dirci e poi valutare se dargli retta o meno. Siamo noi che decidiamo, in ultima istanza, se seguire i suoi consigli. In quest’ottica diamo al dialogo negativo interno una valenza positiva, riconoscendo le sue critiche come un tentativo di protezione rispetto ai pericoli esterni.
L’importanza dell’elaborazione dei pensieri negativi
Alla fine di queste riflessioni potremmo perfino essere sorpresi della crudeltà con cui ci parliamo interiormente. Nulla a che vedere con le parole che rivolgiamo a un amico o un conoscente quando si trova in difficoltà. Questo dialogo interno negativo non deve essere messo in un angolo, ma preso, ascoltato ed elaborato come meglio si crede affinché non ci condizioni nella vita quotidiana.
Le voci interne distruttive, se inascoltate, possono portare a risvolti negativi importanti come ansia costante e uno stato di iper-vigilanza nei confronti del mondo esterno. Persino i nostri successi perdono di valore e i nostri pregi diventano vergogne da nascondere.
Per questi motivi è importante lavorare sulle visioni che abbiamo di noi e sui nostri pensieri negativi che insorgono in maniera automatica. Possiamo addestrarci al pensiero razionale, all’osservazione oggettiva e alla gentilezza, che rivolgiamo a noi stessi e non solo agli altri.
Mindfulness
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Bibliografia
Living With Your Inner Critic: 8 Helpful Worksheets and Activities (positivepsychology.com)
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